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I brand nati con i social parlano direttamente ai propri clienti

La disintermediazione in comunicazione non è un concetto nato con i social, ma è sui social che ha trovato il suo habitat ideale. Niente spot in TV, nessun testimonial VIP: la voce del brand è spesso lo stesso founder che parla direttamente alla propria community. 

Già negli anni Novanta, con la diffusione dei blog e dei forum, alcuni imprenditori e brand avevano iniziato a parlare direttamente ai consumatori, bypassando giornali, pubblicità tradizionale e media agency. Ma è stato l’arrivo dei social network a cambiare le regole del gioco. YouTube, Facebook, Instagram, TikTok hanno reso possibile per chiunque, brand compresi, diventare media di se stessi. 

La comunicazione diretta consente di costruire relazioni autentiche, raccogliere feedback immediati e adattare rapidamente le strategie in base alle esigenze del pubblico. Inoltre, la presenza su piattaforme digitali riduce i costi di intermediazione.

Una rivoluzione (già) in atto

Oggi, la comunicazione disintermediata è una prassi consolidata. I brand più agili scelgono di comunicare in prima persona, spesso con il volto e la voce del founder, oppure con testimonial reali e spontanei. Questo approccio genera fiducia, umanità, prossimità. Secondo un report di Nielsen del 2023, il 92% delle persone si fida di più dei contenuti generati da individui che percepisce come autentici rispetto alla pubblicità classica.
Negli Stati Uniti, brand come Glossier, fondato da Emily Weiss (ex beauty editor diventata imprenditrice), hanno costruito l’intera strategia di comunicazione su contenuti generati dalla community e interventi diretti della founder. In Francia, Merci Handy ha adottato un linguaggio diretto e ironico, con il coinvolgimento costante del team. In Italia, l’ondata sta crescendo, con diversi casi interessanti anche tra microbrand. 

Settori naturalmente predisposti alla disintermediazione

La comunicazione disintermediata, ovvero la capacità di un brand di dialogare direttamente con il proprio pubblico senza intermediari, trova terreno fertile in alcuni settori specifici. In particolare, i comparti del beauty, della moda, del food & beverage e del lifestyle si prestano maggiormente a questa strategia. Questi settori condividono caratteristiche comuni: prodotti tangibili, forte componente estetica, cicli di consumo rapidi e un pubblico attivo sui social media.
tutti questi settori hanno in comune la possibilità di mostrare risultati immediati, la possibilità di coinvolgere le cosidette 'persone comuni' che possono senza lacuna speciale competenza 'far funzionare' il prodotto. Tutto ciò consente la produzione di contenuti altamente condivisibili che spesso diventano vere e prorie tendenze virali. 

Brand che comunicano senza intermediari

L'eccezionale periodo vissuto durante la pandemia ha fatto schizzare le 'azioni' di alcuni creator digitale diventati nel giro di un anno personaggi noti al pubblico del web. Dopo il 2021 sono nati diversi microbrand fondati dai neo influencer. In questi casi, la disintermediazione è stato l'humus, la condizione determinante, il presupposto che ha determinato l'attività impreditoriale. Tra loro c'era chi consapevolmente ha usato i social per la propria impresa e altri che, apparentemente, hanno dato vita al proprio brand solo in un secondo momento, quando hanno capito di avere un'opportunità irripetibile per fare business. 

VeraLab decolla con l'ironia dell'Estetista Cinica

Creato da Cristina Fogazzi, conosciuta sui social come Estetista Cinica, VeraLab è un brand di skincare che ha rivoluzionato il settore beauty in Italia. Attraverso una comunicazione trasparente e ironica che la stessa ideatrice del marchio dai suoi profili. Cristina testa i suoi prodotti e non teme di affrontare temi controversi del settore, dicendo anche quelle verità spesso omesse o mascherate. In questo modo VeraLab ha costruito una relazione di fiducia con il proprio pubblico. 

Amabile, un fenomeno commerciale nato su TikTok 

Fondato da Martina Strazzer, Amabile è un brand di gioielli nato sui social e che dei social network si alimenta. Martina Strazzer condivide fin dall'inizio i propri prodotti, usando i social come vetrina. TikTok è la piattaforma che ha maggiornìmente contribuito al successo di Amabile. Martina Strazzer ha innegabili doti comunicative e cattura per il suo approccio autentico e diretto. Ha trasformato i follower in una community fidelizzata, portando il brand a raggiungere fatturati di milioni di Euro. 

Microbrand italiani con DNA disintermediato

I brand social-made stanno scendo come funghi in autunno. Molti, moltissimi influencer capitalizzano (nel senso vero del termine) la popolarità lancindo sul mercato prodotti commerciali. Tra gli esempi più recenti ci sono Allycore, brand di prodotti per capelli nato dall'influencer Allydollina; Mediterranea Jewels di Raissa Russi, che in linea di continuità con la propria fondatrice si fa portatore di un messagio di integrazione e valorizzazione della cultura mediterranea. Anche la profumeria assiste alla comparsa di brand creati da VIP del piccolissimo schermo. Maltilda Morri Beauty e Alex Perfumes sono i due marchi di profumeria, appartenenti rispettivamente ai creator digitali Sssinister_ e Alexperfume.  

In tutti questi casi, la comunicazione è il brand. L'identità aziendale è indissolubile da quella del creator o founder, e ogni contenuto social è parte integrante del posizionamento.


La comunicazione disintermediata non è un trend passeggero.

Le generazioni più giovani si aspettano trasparenza, accessibilità, coerenza. I brand che nascono da creator e community possono crescere velocemente grazie al senso di appartenenza e alla capacità di attivare un pubblico già coinvolto. Il rischio è la sovraesposizione: quando il brand coincide totalmente con una persona, la solidità dell’azienda può diventare vulnerabile e non c'è bisogno di ripercorrere quanto di recente accaduto all'archetipo italiano del brand nato dalla popolarità di un influencer. 
Il futuro? Probabilmente ibrido. Brand sempre più umani, ma capaci di costruire una narrazione collettiva, dove la voce diretta resta centrale, ma non l’unica.

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